Il 20 e il 21 novembre presso i locali della “Sala Fellini”, le classi 2^A-B-C-D-E della Scuola Primaria “G. Pascoli” , le classi 2^A-B-C-D-E e 1^B-C della Secondaria di 1° grado “I. Nievo”, esporranno i lavori prodotti nei vari laboratori organizzati in occasione dell’”Antica fiera della canapa” patrocinata dal Comune di Gambettola.
Sono stati utilizzati i fili di canapa e i tessuti grezzi in modo creativo per realizzare tovagliette stampate a stencil, burattini su cucchiai in legno, sacchetti di lavanda per profumare cassetti ed armadi, bigliettini e quaderni con fogli in carta gialla… ma qui non si frigge, si scrive! Come si addice ad una Scuola di…classe (e noi, di classi, solo alla Primaria ne abbiamo 26!)
Vi aspettiamo numerosi!
La storia infinita della canapa
Perché la “Fiera della canapa” ogni anno a Gambettola?
Perché è proprio qui che veniva coltivata, già a partire dal Cinquecento, fino alla prima metà del Novecento. La qualità della canapa che si produceva a Gambettola era ottima e i contadini ne ricavavano consistenti guadagni.
Dopo il 1950 la canapa sparì dalle nostre campagne perché l’agricoltura si indirizzò verso altri prodotti e anche perché stava avanzando la società dei consumi ”usa e getta” in cui non c’era posto per le cose fatte con la tela di canapa così resistenti e durature!
A onor del vero c’è anche da aggiungere che il passaggio dalla semina alla tessitura presentava così tante difficoltà da scoraggiare anche i più stakanovisti tra i contadini:
si seminava alla fine di marzo (a mano, gettando “a spaglio” con ampio gesto del braccio); si falciava in agosto e si sistemava in “mannelle” diritte le une contro le altre per alcuni giorni. Si batteva poi violentemente a terra per far cadere le foglie e si preparavano dei fasci che venivano caricati sul carro. Una volta portata nell’aia la canapa veniva stesa un po’ inclinata e, ad uno ad uno, si pelavano i gamboni. Dopodiché si preparavano i fascetti da macerare. Ci si alzava tutti attorno alla mezzanotte e, dopo aver aggiogato 2-3 coppie di buoi, si partiva alla volta del macero, “e mesàr” più vicino. La canapa veniva immersa nell’acqua per più di due settimane, dopodiché doveva essere tirata fuori. Era questo un lavoro massacrante perché i fasci bagnati erano pesantissimi e dovevano essere sistemati sul carro che, spesso, per il peso, affondava nel fango.
E il giorno dopo non era finita! La canapa veniva messa ad asciugare nell’aia e in seguito gramolata e riunita in nuovi fasci più voluminosi.
Era già inverno quando arrivavano i canapini, “i canavèn” che avevano arnesi per pettinarla a dovere e per dividerla in “stopa”, “stuparèna”, “legual” e, infine, il “fiore” che era la parte più pregiata con la quale si facevano vestiti fini e biancheria.
I canapini lasciavano nella casa tutte le matasse delle diverse qualità della canapa. Ogni matassa, “gavètla”, andava bollita nell’acqua con la cenere e restava nel mastello per molto tempo. Si sciacquava con l’acqua piovana e si rituffava nel ranno, “e ràn”, e così finchè non era bianca.
A questo punto si dovevano fare i gomitoli e ci si radunava in tanti nelle stalle per la dipanatura.
Finalmente un’occasione per raccontarsi storie e far tardi la sera…dopo tanto lavorare!
Insomma…una vera e propria storia infinita che, ancora oggi, proprio grazie all’”Antica fiera della canapa”, continua ad aleggiare nella memoria dei gambettolesi.